
Una dimenticanza che potrebbe costare cara. È ciò che è accaduto ad una candidata a un concorso per infermieri indetto dall’Ausl Romagna che si è vista invalidare la propria iscrizione per l’assenza della firma sul suo curriculum vitae. La vicenda ha sollevato polemiche e apre un dibattito sull’interpretazione delle regole nei concorsi pubblici.
Basta davvero una firma per essere esclusi? La candidata, in possesso di tutti i requisiti richiesti – titolo di studio, esperienza e assenza di cause di incompatibilità – si è trovata fuori dalla selezione a causa della mancata sottoscrizione del proprio CV. Una rigidità che l’ha spinta a ricorrere alle vie legali, con l’obiettivo di impugnare l’esclusione davanti al giudice competente.
Secondo l’Ausl Romagna, la mancata firma costituirebbe un’irregolarità formale insanabile, in quanto nei bandi di concorso pubblici le regole sono vincolanti e ogni candidato deve rispettarle per garantire la trasparenza della selezione. Tuttavia, l’assenza della firma rappresenta davvero un motivo sufficiente per l’esclusione?.
Il principio di legalità, sancito dall’articolo 97 della Costituzione, impone che i procedimenti amministrativi siano condotti nel rispetto della legge e dei regolamenti. In questo contesto, i bandi di concorso definiscono criteri e modalità di partecipazione e, se la firma è espressamente richiesta, la sua assenza può portare all’esclusione.
Tuttavia, la giurisprudenza amministrativa ha espresso in più occasioni un orientamento più flessibile. In particolare, una sentenza del Tar Campania (n. 4511/2018) ha stabilito che le amministrazioni devono valutare l’effettiva rilevanza dell’irregolarità commessa, evitando esclusioni basate su meri formalismi. Il Consiglio di Stato ha inoltre sottolineato che le regole di partecipazione ai concorsi pubblici non devono trasformarsi in una “caccia all’errore”, ma devono essere applicate con equilibrio, tenendo conto del principio di favor partecipationis, ovvero la tutela della più ampia partecipazione possibile ai concorsi.
Secondo un orientamento consolidato, le irregolarità formali possono essere sanabili, specialmente se non compromettono la correttezza della procedura e non incidono sull’interesse pubblico. La mancanza di una firma sul CV potrebbe rientrare in questa categoria, in quanto non altera la veridicità delle informazioni fornite dal candidato, né la trasparenza della selezione.
La decisione finale spetta ora al giudice che dovrà stabilire se l’esclusione sia stata legittima o eccessivamente rigida. Se la candidata riuscirà a far valere le proprie ragioni, potrebbe aprirsi un precedente importante per le future selezioni pubbliche.
A cura di Nicola D’Auria