Inizialmente la Camorra non ha compreso il business dei rifiuti rivedendo poi l’elevata quantità di denaro che poteva essere incassata, decise di creare una vera e propria attività. Diversamente dal traffico di stupefacenti, non correva alcun rischio, perché all’epoca non esistevano norme che dessero pene elevate a chi smaltiva i rifiuti in modo illegale.
Secondo alcune dichiarazione riportate dal pentito Carmine Schiavone nel 1996, i terreni venivano riempiti prima da rifiuti urbani e poi da rifiuti tossici e radioattivi. All’indagine avviata dalla Procura dall’altra si affiancava quella della Commissione Parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti.
Roberto Mancini, un coraggioso poliziotto della Criminalpol, svolse delle accuratissime indagini sul campo, pagando carissimo la sua dedizione al lavoro, gravemente ammalato morì nel 2014. Nel 1996 Mancini consegnò l’informativa con tutte le sue scoperte di cui se ne perse ogni traccia.
I soldi non erano l’unico vantaggio di questo business: i Casalesi gestivano direttamente gli appalti, i Comuni, le elezioni e l’assunzione di migliaia di persone. L’indagine di Roberto Mancini e le dichiarazioni di Carmine Schiavone alla Commissione Parlamentare sono state desecretate solamente nel 2013, dopo 16 anni.
All’epoca il clan dei Casalesi possedeva l’appalto per la superstrada di Caserta e le cave da cui si estraeva il materiale per la costruzione. Queste risultavano il posto ideale per smaltire illegalmente i rifiuti e il via vai dei tir era continuo.
I rifiuti che avvelenavano il territorio campano provenivano da tutta Europa: fusti provenienti da centri nucleari in Germania, Austria, Svizzera gestiti da una società di Milano venivano in realtà trasportati e sotterrati in Campania con l’appoggio della P2. Tutto ciò veniva svolto attraverso un meccanismo tanto semplice quanto infernale: il giro di bolla, vale a dire la declassificazione (fittizia) dei rifiuti tossici, che permetteva l’abbattimento dei costi del loro smaltimento. I tir partivano dalle aziende del nord, attraverso una bolla di accompagnamento, scaricavano i rifiuti in apposite buche e quando la buca si riempiva completamente la coprivano di terra senza lasciare tracce evidenti.
Il giro d’affari era così remunerativo da mettere in secondo piano le conseguenze disastrose di queste operazioni.
A causa dell’ammasso di rifiuti la soluzione più facile per sbarazzarsene era bruciarli, soluzione adottata anche dai cittadini comuni che contribuivano con i fuochi al loro stesso avvelenamento.
I soldi ottenuti dallo smaltimento venivano poi riciclati con la creazione di tre consorzi: uno per il calcestruzzo, uno per gli inerti e uno per le cave. Provvedevano al controllo di tutti attori che dovevano rifornire gli imprenditori che volevano costruire. Persino i fidi ottenuti dalle imprese che si aggiudicavano gli appalti erano in realtà concessi dalla Banca Nicola Schiavone.
Secondo i dati epidemiologici registrati dal 2018 i numeri sono notevolmente aumentati, si registra una più bassa aspettativa di vita ed un aumento della mortalità. Nel settembre 2023, l’Asl 2 Nord certifica un eccesso di incidenza e mortalità per cancro soprattutto nella zona dell’acerrano-nolano.
La Campania è l’unica Regione in Italia a non avere un impianto di smaltimento a norma. Si pensi all’inceneritore di Acerra che produce più di 150mila tonnellate di ceneri tossiche all’anno.
È evidente che ci troviamo dinanzi ad un disastro ambientale. Servono soluzioni concrete che garantiscano la salute pubblica dopo quanto è stato raccolto in questi ultimi venti anni ed impianti a norma che permettano di diffondere in tempo reale i dati sanitari ed evitare che la situazione peggiori ulteriormente, aumentando così anche la consapevolezza dei cittadini verso il fenomeno e di conseguenza ottenere un ritorno anche in termini di segnalazione di abusi.
A cura di Anna Venezia Volontaria Servizio Civile Anci Campania