La statua di San Catello

La statua del santo patrono che si venera nella Cattedrale è un’opera d’arte del maestro Giovanni Battista Vigilante, intagliatore-intarsiatore solofrano, uno tra i più notevoli intagliatori del secondo Cinquecento napoletano. Dai documenti conservati nell’Archivio storico si apprende che il simulacro fu ordinato nell’anno 1604 e fu terminato solo quattro anni dopo. Da questo documento si apprende inoltre che il vescovo, Ippolito Riva, intimava al Municipio (Università) che riscuoteva la gabella sulla farina, di contribuire alle spese per la costruzione della statua. Il Comune doveva versare 35 ducati per quanto di competenza ma ne versò solo 12, tanto che il sindaco Cesare Coppola integrò di tasca propria. La statua venne portata a Castellammare dall’eletto Pompeo Calvetta il giorno 16 gennaio 1609. In una lettera del Calvetta al sindaco si assicurava che la statua era stata esaltata dal pittore Fabrizio Santafede, grande artista ed erudito antiquario, autore tra gli altri del dipinto raffigurante Santa Maria di Loreto che è presente nella chiesa di Santa Maria di Loreto (detta di San Francesco). Questa statua, secondo mons. Di Capua è una copia di una statua più antica che era esposta nella Cattedrale e che era più piccola dell’attuale, forse si trattava di un mezzo busto, era anch’essa copia di una risalente al XII sec che a sua volta era una riproduzione più antica in stile greco-bizantino, verosimilmente coeva a quando il Santo fu elevato “all’onor degli altari dal popolo stabiese”. Anche se ormai non più visibili il santo aveva in origine quattro anelli, tre a sinistra (uno al pollice, uno all’indice e uno all’anulare) ed uno al pollice destro, forse nel rifacimento dei due indici, durante il restauro del 1950, un anello non venne rifatto. I guanti sono di colore rosso, imitanti la pelle d’ariete con dei filamenti bianchi forse atti a non coprire totalmente le mani del santo. Questo continuo riprodurre da una statua più antica spiegherebbe delle incongruenze che si notano: come ad esempio la mitra, dalla curvatura accentuata, i quattro anelli che dovevano essere d’oro ed infilati alle dita ed il manipolo (consistente in una banda di stoffa pendente dal braccio sinistro dell’officiante, usato per asciugare lacrime o sudore) che non si usa con il piviale. Vi è da dire che il manipolo potrebbe essere consono alle tradizioni locali in quanto fu notato sulla pietra tombale del canonico stabiese Simone Longobardi deceduto nell’aprile del 1312. Il simulacro di San Catello è alto un metro e settanta ed è in ginocchio su un ricco cuscino, l’artista per dare una particolare imponenza non si attenne rigidamente alle proporzioni anatomiche. Il peso si aggira intorno ai 240 kg. Occorre precisare che nel corso degli anni la statua è stata più volte restaurata, e ciò non sempre a regola d’arte. A partire già dal 1700 fu disinfestata dai tarli, si effettuarono interventi sulla policromia e sulla campitura dorata, furono applicati gli occhi di vetro e fu rifatta la base in stile rococò. Il Santo portava alle dita quattro anelli, come già riportato, ma, forse, nel rifacimento dei due indici, durante il restauro del 1950 (eseguito dal maestro Gustavo Girosi), un anello non fu rifatto. All’interno della piegatura della mano destra c’era un foro per consentire il passaggio del pastorale (bastone) poi successivamente spostato nella posizione attuale. L’8 maggio del 1982 durante la processione la statua all’altezza dell’Episcopio nuovo in via I de Turris andò a cozzare contro un filo steso tra i due lati della strada rimanendo decapitata. In quel periodo il capo paranza dei portatori era il sig. Vincenzo Esposito della famiglia “Pedecone” che in quella circostanza era assente per motivi familiari.
La statua a forma piramidale allungata a base quadrangolare, fu scolpita da un sol blocco formato da più tavole di legno di tiglio incollate e fissate in senso verticale. È verosimile comunque che l’odierna statua conservi le fattezze del santo, difatti nei secoli antichi i vescovi facevano incidere la loro fisionomia su di un anello per autenticare lettere e documenti. Nulla ci vieta nel pensare che gli Stabiesi abbiano conservato qualche ritratto del loro vescovo e che il primo artista lo abbia ricopiato.Il culto di san Catello fu comunque approvato e confermato dalla Sacra Congregazione dei Riti solo nel XVIII sec. Il 1° febbraio 2017 la Sovraintendenza delle Belle Arti di Napoli chiese di non utilizzare più la statua per la processione, onde evitare sollecitazioni meccaniche e dagli agenti atmosferici. La Curia, diede quindi mandato al laboratorio di restauro Breglia-Guidone, di eseguire una copia della statua antica. Con i dovuti accorgimenti fu fatto un calco in silicone e riprodotta in vetroresina, e dal 2019 è quella che due volte l’anno viene portata in processione.

A cura di Giuseppe Plaitano

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